Siamo ancora alla scuola dell’obbligo quando diventano parte del nostro programma di studi, come minimo per qualche anno (anche se, a dirla tutta, poche volte le consideriamo fra le materie più importanti) anche la Storia dell’Arte e l’Educazione Artistica: entrambe concorrono, certamente, a comporre il nostro giudizio sull’Arte e su cosa precisamente essa sia. Nonostante però si tratti di un’opinione decisamente personale, c’è una situazione nella quale quasi tutti sono concordi nell’esprimere un sentimento, se non di riprovazione, quantomeno di imbarazzo e critica: ed è quella in cui incontriamo dei falsi d’autore.
Uno dei pochi punti più o meno universali nell’insegnamento del concetto di arte, oggi, è proprio che l’arte abbia alla base l’unicità, e che per questo motivo l’idea di “copia” e quella di arte non siano neppure vagamente compatibili. D’altra parte, è questa la visione oggigiorno più diffusa a livello di critica e di mercato: che però le cose siano sempre state così è un grosso malinteso, che deve essere a tutti i costi evitato. Studiando un poco la vera storia dell’arte, possiamo avere grosse sorprese, anche da parte di nomi assolutamente insospettabili fra i più grandi artisti che conosciamo.
Se infatti oggi sia i critici, che il mercato dell’arte, che se vogliamo perfino il pubblico generico vedono l’arte come un’impresa primariamente fatta di attimi unici, e specialmente di figure uniche, dove è quindi il nome, l’identità dell’artista ad accordare uno speciale valore all’opera d’arte in questione, che sia pittorica o scultorea, non dobbiamo pensare che questa sia sempre stata l’ottica dominante. Per una lunghissima parte della Storia, la figura dell’artista e quella dell’artigiano, che ai nostri occhi appaiono così distinte, furono praticamente sovrapposte, e all’unicità dell’opera si preferì, come canone, la maestria con cui era eseguita. È chiaro come, in questa visione, la copia non solo non sia così condannabile, ma diventi addirittura un momento indispensabile della formazione dell’artista, un esercizio per acquisire la competenza e l’abilità del maestro da cui sta copiando. E infatti, nella storia delle copie d’autore, troviamo nomi che forse ci potevano sembrare insospettabili:
Michelangelo, per molti l’artista per antonomasia, crebbe artisticamente, da adolescente, alla corte di Lorenzo il Magnifico, copiando le statue classiche e le opere di Masaccio che la adornavano; una volta cresciuto, è perfino di dominio pubblico che scolpì, per un compratore entusiasta di statue antiche, un Cupido che poi trattò con terre acide, vendendoglielo con successo come antichissimo;
Peter Paul Rubens, il celebre artista fiammingo, aveva una vera reverenza per gli artisti del Rinascimento, ed era solito alternare ai propri dipinti delle copie delle opere che più amava; la stessa “Battaglia di Anghileri” di Leonardo da Vinci che possiamo contemplare oggi è in realtà una sua copia, dato che l’originale è andato irrimediabilmente perduto;
Tiziano Vecellio, famoso pittore veneziano passato alla storia per l’uso dei colori come Michelangelo lo era per l’abilità nel disegno, fu autore di una copia di una celebre produzione di Raffaello, il “Ritratto di Giulio II”, ancor adesso esposta a Palazzo Pitti, a Firenze.